mercoledì 24 febbraio 2010
Negli ultimi tempi,un pò per problemi logistici un pò per mancanza di tempo, ho tralasciato questo mio spazio, dedicando il mio tempo e spendendo le mie energie agli impegni professionali, politici e familiari che riempiono totalmente le mie giornate, prevalendo di volta in volta uno sull'altro.In questi giorni ho avuto la fortuna di leggere un tema,svolto da un ragazzo durante un compito in classe, che mi ha fatto riflettere,forse perchè coinvolge tutti e tre i comparti della mia vita.E ve lo propongo come spunto,magari, per un dibattito costruttivo, senza pretendere con questo di risolvere il grande enigma che è l'adolescenza, ma contribuendo a rendere meno extraterrestri i nostri giovani." Sempre più spesso gli adulti, gli stessi adulti che sono i nostri genitori o parenti, amici e, qualche volta, semplici conoscenti, che devono insegnarci o per lo meno dirci come crescere nel modo migliore possibile, ci parlano del disagio giovanile, si affannano per noi, si chiedono, forse, cosa si prova a vivere questo disagio. E ciò è giusto, conforme al loro ruolo di genitori, di "guide", di, potremmo anche chiamarli, "maestri di vita", visto che indubbiamente ne sanno molto più di noi giovani con la loro esperienza personale. A volte, però, bisogna dirlo, tutto questo affannarsi per i giovani, pensare alla loro debole psiche, ai brutti incontri che possono fare, alle cattive amicizie che possono crearsi, alla scuola che , inspiegabilmente, va male, e simili, tutto ciò, insomma, stufa. Ma non è questo il problema, ovviamente. È inutile affermare che il disagio non è causato dall'eccessiva preoccupazione dei genitori nei nostri confronti, ma nella concezione a mio parere sbagliata, di disagio giovanile. Non è neanche dato, generalmente, dall'indifferenza, volontaria o meno, che alcuni genitori manifestano nei confronti dei propri figli, perché entrambi i genitori lavorano, o perché pensano prevalentemente a sé stessi o per altri motivi, a volte i più disparati. Ma allora, da cosa è causato questa situazione qualche volta sicuramente seccante? Per fortuna, si pensa, ce lo dice la società. Il problema, però, è proprio questo: per questa società il significato del termine “disagio giovanile” è tutt'altro che univoco: viene infatti usato per "descrivere un'ampia gamma di fenomeni di tipo sociale o individuale che vanno dalle difficoltà fisiologiche e psicologiche di crescita delle attuali generazioni di preadolescenti e adolescenti." Ecco, questa è la versione stereotipata del turbamento di noi giovani.Ma io sono convinto che non è questa la vera definizione del tanto proclamato disagio. Ovviamente non affermo che tutti la pensino in questo modo; proviamo, però, a svolgere un'ipotetica inchiesta ai genitori, i quali quasi sicuramente risponderebbero:" Secondo me, il disagio giovanile è il bisogno sfrenato di un ragazzo di fare parte di seguire la moda.", oppure:" Per me, il disagio è causato dall'insofferenza a un certo tipo di musica che a un ragazzo non piace e si sente quindi escluso.", e le risposte potrebbero formare una lunga lista. C'è, in fondo, un'idea di base che lega: il concetto stereotipato di "disagio giovanile". Come lo abbiamo ricordato prima, consiste nel credere che un ragazzo è inquieto perché vuole fare parte di un gruppo di coetanei, seguire le loro mode, farsi piacere anche musiche, canzoni, e, perché no, linguaggi, che non gli aggradano ma, trovandosi in difficoltà, si trova male, è, per l'appunto, a disagio. A questo disagio, è poi collegata l'inevitabile conseguenza dell'incomprensione. Noi giovani siamo degli incompresi? Ma lo siamo realmente o lo siamo diventati a furia di sentirci dire da tutti, genitori, parenti, amici più grandi, insegnanti, educatori, che lo siamo? Io non lo penso, almeno con le cause che secondo la società moderna generano l'incomprensione.Secondo me il disagio giovanile non consiste tanto nel bisogno di un giovane di appartenere o inserirsi in un gruppo, o di voler seguire la moda, quanto, a mio avviso, nel cominciare a vedere il mondo con occhi completamente diversi. Senza andare tanto in giro, possiamo partire dalla figura del genitore. Fino ai dieci, massimo dodici anni, il genitore è visto come una specie di persona con un potere illimitato. Tutto ciò che dice è vero. Non ci sogneremmo mai di contraddire ciò che è stato detto. Sto parlando, ovviamente, in generale. Ecco che però, intorno ai tredici anni, il genitore comincia a "rimpicciolirsi", il suo potere non è poi così immenso e il ragazzo cominci a contrastare questo potere. Ecco che nascono i primi litigi; le piccole o grandi incomprensioni. Per rendere più chiaro il concetto riporto alcun frasi dal libro "Demian", di H. Hesse: "Dappertutto pullulava e odorava quel secondo mondo violento, salvo che nelle nostre camere dove c'erano la mamma e il babbo. Era meraviglioso sapere che da noi regnavano pace, ordine e tranquillità, il dovere e la coscienza pulita, il perdono e l'affetto… […]." Questa è, teoricamente, la visione del mondo di un bambino di dieci anni. Ma dopo, il bambino comincia a crescere, diventa ragazzo e comincia a interessarsi di tutto il mondo; non gli basta più il mondo "bello, pulito", gli sta stretto, vuole avere più esperienza. Conseguenza di questa decisione: comincia ad allontanarsi dalla famiglia, non nello stretto senso fisico, ma manifestando una voglia di privacy, d'intimità che prima non avvertiva. Anche i genitori avvertono questo progressivo e crescente distacco e, se da una parte sanno che è naturale che il proprio figlio o la propria figlia cresca, si faccia adulta e tutto quello che ne consegue, dall'altra hanno paura che sia colpa loro, che non li hanno seguiti abbastanza, e allora iniziano a rimediare, stando più attaccati ai figli, i quali, però, si sentono troppo osservati eccetera… Alla fine è una specie di circolo vizioso. Intanto, e comunque, questo giovane cresce e comincia a vedere le persone adulte sotto un altro aspetto. È da questo che, io credo, nasce il disagio. Il disagio di trovarsi all'improvviso in un mondo completamente diverso da quello cui ci si è abituati; Si cominciano a vedere i grandi sotto un'ottica completamente diversa. Ciò nasce anche dalla comparsa dei propri istinti, degli istinti di tutti, che, volenti o nolenti, dobbiamo in qualche modo assecondare. Ecco che allora nel ragazzo o nella ragazza nasce il senso del pudore. All'inizio la cosa è un po' difficile da superare, ma col tempo ci si abitua, ci si abitua a tutto! Si prende atto di ciò e non ci si fanno più tanti problemi.Ed ecco che cominciamo a prendere delle decisioni importanti e, alla fine, quel disagio interiore, quella specie di sofferenza interiore, non è altro che un flebile ricordo di ciò che è, ormai, acqua passata.Questo è, secondo me, il disagio giovanile. Come avrete notato è ben diverso dalla versione stereotipata della società, ma io sono convinto che è così. Si potrebbe affermare, quindi, che il disagio giovanile è il risveglio degli istinti più primitivi che accomunano l'uomo e tutti gli esseri viventi. È la voglia di sapere, di conoscere, di provare nuove emozioni. È il desiderio di diventare indipendenti, di diventare, dopo un lungo cammino, adulti."
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