finalmente mi riallaccio ad internet e, dopo un po di lavoro, decido di leggere ciò che si scrive nei locali blog.Tranne qualche articolo interessante ed intelligente che mi partecipa le ultime novità paesane o mi riporta alla memoria storie che credevo passate(anch'io sono stata scantata da piccola)leggo attacchi gratuiti all'attuale amministrazione, di cui mi fregio far parte, non limitate alla contestazione dell'operato ma, cosa più grave, alle persone. Non ritenendo necessario sottolineare quanto le parole scritte nei blog poco intralciano il mio volere operare a favore della collettività tutta, perchè, lo vogliate o no, oggi ho la responsabilità di una delega difficile e delicata e "con scrupolo e coscienza" cerco di occuparmene.Ma veniamo al dunque: la libertà di parola è, nel mondo moderno, considerata un concetto basilare nelle democrazie dove la censura non trova l'appoggio morale per operare.Nell'antica Grecia si chiamava parresia,ed era cioè la facoltà che i cittadini avevano di esprimere la loro opinione liberamente durante le assemblee pubbliche che si svolgevano nell'agorà. Gli antichi greci avevano stabilito che per dire la verità occorreva "dire tutto" ciò che si aveva in mente. Il filosofo greco Platone distingue due forme di parresia: una parresia falsa, stolta e distruttiva da una parte; dall'altra una parresia veritiera, sapiente e costruttiva. Platone riteneva infatti pericoloso per una buona democrazia rivolgersi ai propri concittadini e dir loro qualunque cosa anche la più stupida o la più offensiva che venisse in mente: in tal caso, la libertà di parola, senza una riflessione razionale, era dannosa per il bene della polis. Invece, per un corretto impiego della parresia, era necessario che chi vi ricorreva avesse delle qualità morali e soprattutto il coraggio di correre un rischio o un pericolo conseguente a ciò che diceva. Buoni erano allora quei consiglieri del sovrano se, dicendo la verità, correvano il rischio di essere puniti, esiliati o uccisi; così buono era quel governante che, dicendo ciò che ha davvero in mente, rischiava di perdere la popolarità, la maggioranza, il consenso. La libertà di opinione non può e non deve essere equivocata con la libertà di insulto, di offesa, di diffamazione dell'altra persona. E' principio costante che la critica, per quanto ficcante e mordace possa essere, mai debba diventare insulto, dileggio, gratuito dispregio della persona; qualora ciò avvenga non si è più in presenza di una critica, scriminata dal diritto costituzionalmente garantito della libertà di espressione, ma di una diffamazione. La giurisprudenza ha avuto modo di individuare il confine tra critica e diffamazione in particolare nella continenza espositiva, essendo inacettabile che la disputa politica o sindacale si tramuti in un attacco alla persona o alla sua reputazione.
ben vengano quindi ,anche anonimamente, quelle critiche atte a spronare, correggere, incitare un'amministrazione a migliorarsi e a lavorare di più. Ben vengano le provocazioni che hanno come scopo creare un'opposizione cittadina che sia da stimolo ad un governo. Ma le offese pubbliche e gratuite sono da condannare, alla pari di un anonimato che serve non a nascondere una timidezza, ma a garantire, nella stessa maniera di un comportamento criminale e delinquenziale, l'incapacità o l'impossibilità di relazionarsi sulla verità.
mercoledì 1 aprile 2009
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